L’unico rappresentante delle Cephalotaceae è il Cephalotus follicularis, anche conosciuto come Albany pitcher plant, in quanto questa pianta si può trovare in natura soltanto nell’area di Albany, nell’Australia sud-occidentale.
Nonostante sia una pianta classificata come Vulnerabile (IUCN 2.3), in quanto presente in una zona così ristretta ed in numero ridotto, nel 1999 è stata presentata la richiesta di rimozione dall’Appendice II, poi approvata dal CoP11 del 12 Novembre 1999. Le motivazioni per cui si è reso possibile rimuovere la pianta dall’Appendice II della Cites dipendono dal fatto che l’estrema semplicità della sua propagazione (per talea o in vitro) rende di fatto inutile la raccolta di esemplari in natura. Qui potete leggere la richiesta in PDF
Una decisione presa probabilmente un po’ troppo alla leggera in quanto è risaputo quanto una “location” possa fare gola agli appassionati del genere. Esemplari cosiddetti “wild” mostrano spesso caratteristiche uniche, sia nel genotipo sia nel fenotipo; si dimostrano spesso molto più resistenti a parassiti, malattie e condizioni estreme di coltura, rispetto agli ormai lontani parenti che per esempio circolano in Europa venduti dai più famosi rivenditori internazionali.
Per fortuna (fortuna?) esistono in coltivazione molte di queste varianti wild quindi si spera che i prelievi in natura si riducano al minimo con il passare del tempo.
Il Cephalotus rappresenta uno dei più splendidi ed unici adattamenti di una pianta alla carnivorosità. E’ un’erbacea perenne con una crescita relativamente lenta. La struttura della pianta si presenta mediamente complessa con un apparato radicale a rizoma sotterraneo e due tipi distinti di foglie, carnivore e non carnivore.
Foglie di Cephalotus follicularis. La pianta può decidere di dedicare le proprie energie alla produzione di foglie carnivore piuttosto che non carnivore, a seconda di alcuni fattori ambientali, quali:
- l’illuminazione gioca un ruolo fondamentale. Qualsiasi pianta si trovi a crescere in un luogo carente di luce cercherà un modo per ovviare al problema, in questo caso vengono prodotte foglie la cui superficie fotosintetica è maggiore, mentre altre piante sono solite allungarsi in cerca di luce.
- una giusta illuminazione potrebbe non essere sufficiente! Essendo carnivora, se non riesce a catturare abbastanza insetti, si adatterà producendo un egual numero di entrambe le tipologie di foglie.
- Infine, piante che crescono in luoghi ottimali dove l’irraggiamento solare non manca e vi è abbondanza di prede, tendono a produrre più foglie carnivore; una pianta carnivora, più si alimenta e più vigore acquisisce durante la crescita, dandole maggiori possibilità di moltiplicarsi (infiorescenze più grandi e numerose con conseguente maggiore produzione di semi) e preservare la specie.
Le foglie di tipo non carnivoro si presentano con un aspetto somigliante a quelle delle succulente, tozze, carnose e di forma leggermente lanceolata; esse svolgono la funzione fotosintetica nei periodi in cui la pianta deve sopperire alla mancata predazione ed hanno una funzione di primaria importanza nel suo corretto sviluppo e ciclo vitale.
Le foglie di tipo carnivoro, o ascidi, si presentano invece morfologicamente molto complesse e sono strutturate con un corpo a sacco somigliante a quello del genere Nepenthaceae.
Sul corpo dell’ascidio sono presenti tre lamelle ricoperte da peluria: una centrale a forma di “Y” e due laterali che svolgono una funzione primaria nella cattura, offrendo agli insetti un comodo appiglio che permette loro di raggiungere facilmente l’entrata della trappola. All’entrata dell’ascidio troviamo il peristoma, composto da lamelle simili a denti ricurvi verso l’interno (non presenti nei giovani ascidi non funzionali); la struttura liscia del peristoma provoca una perdita di aderenza delle zampe delle prede e ha la duplice funzione sia di favorire la caduta dell’insetto verso la parte interna della trappola, sia di impedire la sua eventuale risalita. A chiudere l’ascidio troviamo un opercolo apicale finestrato, mentre all’interno è presente un collare a imbuto ricoperto di cellule dalla forma allungata che favoriscono lo scivolamento della preda verso i succhi digestivi. Questi sono prodotti da due diversi tipi di ghiandola: un primo tipo, largo e sferico e un altro, più piccolo, raggruppato in due masse reniformi situate nella zona latero-basale delle pareti interne del sacco.
Le dimensioni del Cephalotus sono quelle di una pianta medio piccola, con un diametro complessivo che varia da adutla tra i 20 e i 35 cm e un altezza massima di 10-12 cm.
Gli ascidi funzionali raggiungono in media una lunghezza di 4-5 cm, ma non sono rari ascidi di lunghezza superiore addirittura fino a 7 cm in piante adulte, nei cloni giganti questa misura arriva addirittura a raggiungere gli 8-8.5 cm. Per quanto riguarda gli ascidi non funzionali il discorso è decisamente diverso, e ci troviamo di fronte delle misure decisamente ridotte, che variano dai 3-5 mm per gli ascidi più piccoli fino addirittura ai 1-1.5 cm per quelli più grossi.
Come abbiamo visto precedentemente il Cephalotus è una pianta che sviluppa due tipi di foglie, carnivore e non, al contrario di quello che si può pensare però anche la parte non carnivora è molto ben sviluppata e l’apparato fogliare può raggiungere dimensioni ragguardevoli, con foglie più sottili e lanceolate che si assestano su misure ci pochi centimetri, solitamente tra i 2-3 cm di lunghezza per 1.5-2 di larghezza, e fogli più carnose simili alle succulente che invece raggiungono dimensioni di circa 4-5 cm di lunghezza e 3-4 cm di larghezza.
Ultima nota va sicuramente al fiore, composto da un lungo stelo che può arrivare a raggiungere e superare anche i 60 cm, ma che solitamente si limita ai 30-40 cm e terminante con dei piccoli fiori bianchi di circa 5mm di diametro. In coltivazione è necessario assicurare spazio alla crescita delle infiorescenze, la quale avviene molto rapidamente ed incontrando ostacoli rischia di danneggiare lo scapo delicato.
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